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LA CELIACHIA IN ADOLESCENZA

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LA CELIACHIA IN ADOLESCENZA

Spesso la diagnosi della celiachia arriva per caso o per effetto di uno screening familiare, e non tutte le persone presentano sintomi. 

 

Sicuramente una grande conseguenza, una volta diagnosticata la celiachia, è quella di non accettare facilmente la patologia, semplicemente non ci si sente malati. Al contrario, per chi ha sintomi, forti e invalidanti, e ancor di più se ci è voluto tempo per capire da cosa fossero scatenati, la diagnosi rappresenta un punto di svolta, un sollievo, poiché dopo aver iniziato la giusta dieta senza glutine si comincia finalmente a stare bene. 

Il fatto di avere una celiachia sintomatica può rappresentare una forte motivazione ad essere aderenti alla dieta, poiché i sintomi scompaiono non mangiando più glutine. I bambini diagnosticati in seguito alla sintomatologia da adulti tendono a gestire meglio la dieta e la celiachia in generale. 

 

Un follow-up durato 20 anni

Ad occuparsene è stato un gruppo di ricercatori italiani, condotto dall’IRCCS Burlo Garofalo di Trieste,  con un follow-up di 20 anni su pazienti celiaci: l’obiettivo era quello di verificare l’aderenza alla dieta senza glutine dopo 20 anni dalla diagnosi.

Nel gruppo dei pazienti erano presenti sia persone con sintomi che asintomatiche, diagnosticate quando avevano 7/8 anni.

Venticinque partecipanti provenivano dai 3000 bambini che erano stati sottoposti allo screening per la celiachia del 1999 e nel 2000, mentre 34 erano pazienti diagnosticati dopo la comparsa dei sintomi, quali dolore addominale, anemia, perdita di appetito. 

Per verificare l’aderenza alla dieta senza glutine, i partecipanti sono stati intervistati e sottoposti a un questionario realizzato allo scopo: i quesiti indagano su quanto spesso mangiavano il glutine volontariamente, se parlavano della celiachia a chi si occupava di preparare loro del cibo, se controllavano le etichette dei cibi e se facevano riferimento all’Associazione Italiana Celiachia per la sicurezza degli alimenti. 

I ricercatori hanno scoperto che la mancanza dei sintomi faceva sì che i pazienti fossero meno aderenti alla dieta, rispetto invece a coloro che erano stati diagnosticati poiché mostravano sintomi.

Solo il 24% degli asintomatici effettuava regolarmente degli esami del sangue, contro l’ 80% di coloro che erano sintomatici. 

 

Questo studio non si è solo limitato a verificare chi seguisse la dieta in modo corretto, ma anche individuare quali fossero eventuali conseguenze della mancata aderenza, scoprendo così che non aderire alla dieta non era correlato allo sviluppo di altre patologie autoimmuni. Infatti sia alcuni pazienti diagnosticati con lo screening ( il 16%) sia alcuni sintomatici (il 18%) avevano sviluppato altre malattie autoimmuni, come la tiroide di Hashimoto, l’ipertiroidismo, il diabete di tipo 1 e la psoriasi. 

Quindi il fatto che il rischio sia simile per entrambi i due gruppi suggerisce che sia necessario monitorare entrambi per queste patologie. Soprattutto chi è diagnosticato con uno screening, casualmente, e non ha sintomi, deve essere seguito con più attenzione, ricevere una migliore educazione post diagnosi e nel periodo di transizione dall’ambulatorio pediatrico a quello dell’adulto, affinché possa comprendere l’importanza di eliminare completamente il glutine dalla dieta.